Nella versione più accettata dalla comunità scientifica circa la presenza e l’evoluzione della vita sulla Terra sin ai nostri giorni vi sono aspetti molto confusi e per nulla chiariti:
esaminando la sedimentazione stratigrafica dei vari organismi ad esempio si nota il perdurare per periodi lunghissimi di specie con le stesse caratteristiche per passare poi a salti evoluzionistici improvvisi in cui si nota la presenza di tratti morfologici e strutturali parecchio diversi da quelli che contraddistinguevano le specie di cui si ritiene la provenienza.
A volte è chiara la derivazione costituita dalla sostituzione di caratteristiche avvenuta gradualmente e con tutte le varie catene di collegamento presenti, ma per la maggior parte dei casi i cambiamenti sono avvenuti in maniera repentina senza alcun anello di collegamento.
L’idea di un evoluzione nella vita affonda le sue origini sin dal 600 a.c. con il pensiero di Anassimandro (filosofo greco), ma un definizione precisa dei principi che vengono ad oggi accettati dalla comunità scientifica è abbastanza recente con la teoria evoluzionistica di Darwin che in sostanza propugna l’idea che modifiche casuali nel patrimonio genetico sopravvivono nella progenie se tali cambiamenti sono funzionali ad una migliore adattabilità all’ambiente a scapito degli individui sprovvisti di tali cambiamenti (la famosa competizione delle specie o sopravvivenza del più forte).
In verità tra fine 1700 e primi del 1800 vi era anche un’altra teoria che spiegava la speciazione, quella propria di Lamarck, la quale prefigurava fosse l’ambiente ad indurre cambiamenti all’interno degli individui che poi trasmettevano alle generazioni future tali modifiche, senza alcuna competizione e senza alcuna supremazia del più forte.
Contrapposta a questa visione è sempre stata quella del Creazionismo che poi è stata modificata nel Disegno Intelligente per trovare giustificazione ai cambiamenti che avvenivano non solo durante gli esperimenti ma anche osservando ciò che accadeva in modo naturale nel mondo.
La teoria che si è fatta strada sino ai giorni nostri è stata soprattutto quella Darwiniana, appoggiata a mani basse dalle élite culturali inglesi in epoca vittoriana perché andavano a giustificare quella che era la visione che poi confluirà nel fabianesimo nel 1884 con la fondazione della Fabian Society.
Una visione paternalistica e sfruttatrice dell’essere umano che prevede che individui moralmente superiori agli altri quasi per diritto divino o di nascita gestiscano i bisogni e le tendenze del popolo becero ed inferiore.
Questa visione veniva compenetrata in maniera simbiotica con l’evoluzionismo della sopravvivenza del più forte, i più forti sarebbero stati gli eletti che avrebbero guidato il mondo.
Un aspetto intrinsecamente incarnato con tale visione fu proprio il capitalismo, alla radice d tale pensiero.
Sarebbe stato il capitale, nelle mani di coloro che si consideravano gli eletti, a fornire lo strumento tramite il quale edificare la nuova società.
Tale visione ha condizionato in modo pesante la società dei nostri giorni, in cui l’individuo è considerato solo uno stupido consumatore del tutto incapace di comprendere quali siano le proprie esigenze.
Tornando alla selezione naturale, questo assioma risulta però del tutto incapace di giustificare moltissimi aspetti evolutivi.
Per esempio esistono diverse specie di batteri e non solo che mettono in diretta discussione la trasmissibilità dei caratteri del più forte nelle generazioni successive.
Avevo letto già nel 2019 un articolo comparso sul numero di Giugno dell’edizione italiana di Scientific American dal titolo:
“Evolvere per il bene del gruppo” (di David Sloan Wilson e Edward O. Wilson).
In tale articolo veniva affermato che non solo si può avere una trasmissibilità delle variazione genetiche casuali da singolo individuo ma addirittura attraverso il gruppo, come ad esempio una colonia di batteri, viene cioè applicata una sorte di selezione di gruppo che fa sì che sopravviva solo il gruppo che esprime determinati caratteri genetici che lo avvantaggiano.
Tale estensione della teoria, anche prevista in embrione dallo stesso Darwin, doveva giustificare il fatto che all’interno ad esempio di una colonia di batteri vengono anche tramandati caratteri genetici che sono propri di individui il cui comportamento è magari vantaggioso per sé e la propria progenie ma estremamente distruttivo per il gruppo di cui fa parte nel suo complesso.
Viene presentato l’esperimento di un gruppo di ricercatori (Paul B. Rainey e Katrina Rainey) su un tipo particolare di batteri (Pseudomonas fluorescens) immersi in un brodo di cultura che contiene sostanze indispensabili alla crescita di tale colonia.
Tale ambiente deve essere costantemente agitato per permettere l’ossigenazione del brodo poiché l’ossigeno risulta indispensabile per tali batteri.
Nel caso si smetta l’agitazione all’interno del brodo si determina un ambiente anossico poiché via via i batteri consumano tutto l’ossigeno disponibile e rimane a disposizione della colonia solo lo strato superficiale a contatto con l’aria.
Grazie a una mutazione spontanea (e secondo la teoria evoluzionistica darwiniana del tutto casuale), le cellule acquisiscono la capacità di secernere un polimero di cellulosa con cui formano una sorta di piccolo diciamo «materassino» che le aiuta a colonizzare la superficie.
Ma la produzione di tale polimero risulta essere estremamente dispendiosa per il metabolismo, ciò significa che quei batteri che non hanno sviluppato tale mutazione avranno una vita migliore perché sfrutteranno il materassino prodotto dagli altri batteri senza consumare energie aggiuntive. Se però tali imbroglioni crescono troppo in proporzione rispetto a coloro che costruiscono il materassino succede che esso sprofonderà nel brodo decretando la morte di entrambi i gruppi non essendo in grado di sorreggere tutti.
In tale esperimento si è dimostrato che il tratto
della mutazione è comunque mantenuto nella popolazione dalla selezione di gruppo, anche se è
svantaggioso all’interno di ciascun gruppo.
La cosa a mio avviso incredibile è che siano sfuggite alcune considerazioni.
La prima riguarda proprio la così detta mutazione casuale.
Come si possa ritenere la produzione del polimero di cellulosa che costituisce la struttura del materassino un evento del tutto casuale mi sembra quantomeno assurdo.
Mi spiego meglio.
Affinché si possano generare tutte le combinazioni possibili che fanno in modo di poter produrre esattamente quel tipo di soluzione richiederebbe un tempo lunghissimo.
Oh intendiamoci prima o poi potrebbe accadere, ma penso di essere nel giusto nel ritenere che la colonia batterica si estinguerebbe molto prima.
Quindi proprio questo esempio dimostrerebbe che un simile adattamento evolutivo avrebbe bisogno di un quadro teorico ben diverso da quello che prevede la casualità.
Anche perché il sistema evolverebbe da un sistema più semplice ad uno nettamente più complesso in un lasso di tempo appunto relativamente esiguo.
Senza stare a dilungarmi ulteriormente vorrei dire che proprio tale esperimento dimostrerebbe, al contrario di quanto affermato dai relatori dell’articolo, che per di più non sia necessariamente il più forte a trasmettere i propri caratteri alle generazioni successive.
Ed infine insisto nel ribadire che per questo tipo specifico di adattamento sarebbe necessaria una modifica delle strutture trasmissibili enormemente più complessa rispetto a quella iniziale molto più semplice.
Si è quindi anche arrivati a ritenere che spesso, come proponeva Lamarck, sia l’ambiente che direttamente indirizzi uno specifico aspetto evolutivo.
Questo in maniera principale per le forme di vita unicellulari o morfologicamente più semplici.
In molto studi si è dimostrato che il DNA contenuto all’interno del nucleo cellulare di queste creature meno strutturate può essere modificato direttamente da molecole esogene alla cellula.
Quindi i cambiamenti potrebbero in molti casi avvenire non su ricombinazioni casuali all’interno del DNA, ma a seguito di segnali provenienti dall’esterno della cellula medesima.
E quindi mi chiedo, siamo davvero certi che tali cambiamenti dovuti a vettori esterni siano solo indotti nelle forme vitali più semplici?
Non potrebbero essere indotti anche in creature più complesse come l’essere umano?
A tale domanda sarei ovviamente propenso a dare una risposta affermativa.
La letteratura scientifica e medica è piena di esempi di sostanze o addirittura farmaci capaci di indurre l’espressione di determinate zone del DNA contenuto nei nuclei cellulari.
O ancora peggio di introdurre cambiamenti anche significativi nell’espressione genica e persino trasmissibile alle generazioni cellulari future.
E qui non si può fare a meno di ricordare la triste esperienza recente delle famose terapie geniche a mRNA per l’induzione dell’espressione della proteina Spike…
Ma torniamo allo studio dei reperti fossili.
Analizzando i vari piani stratigrafici si può notare come i cambiamenti avvengano per così dire ad ondate. Cioè in determinate epoche è emerso che tutta una serie di diverse specie improvvisamente acquisissero tratti che prima non avevano.
La cosa sorprendente riguarda appunto l’aspetto che i cambiamenti avvengano in maniera contemporanea per tutta una serie di specie presenti nell’area.
Questo con il tempo ha portato allo sviluppo di una teoria che si discosta in gran parte dall’evoluzionismo tradizionale.
Infatti si ipotizza che i cambiamenti avvengano per salti in maniera sincrona, un po’ come avviene con la sincronicità acquisita dai metronomi posti su piano quando vengono fatti partire in modo non sincronizzato.
In un certo qual modo è come se tutte le specie si rimodulassero in sincronia con determinati eventi ambientali in modo spontaneo.
Si è fatta strada in questi anni infatti una teoria che riprende in parte questi concetti, tale teoria si basa sull’idea di una nuova legge di natura:
“la legge sull’incremento dell’informazione funzionale”.
Nell’ottobre del 2023 è stato pubblicato sulla rivista online di PNAS
https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2310223120
un articolo a firma di nove tra scienziati e filosofi che propone un’idea di evoluzione veramente intrigante.
Il processo evolutivo è una caratteristica di tutti i sistemi complessi naturali, dalle stelle ai minerali.
Quindi non riguarderebbe solo i sistemi viventi.
Ma proprio ogni cosa dall’animato all’inanimato.
Si esplicherebbe nella visione che i sistemi naturali complessi evolvano verso stati a maggior strutturazione, diversità e complessità.
Spiego meglio, i sistemi sono formati da componenti diverse, biologiche e non biologiche (atomi, molecole o cellule), che interagiscono tra loro e si riorganizzano continuamente.
In quanto soggetti a fenomeni naturali, tali sistemi si modificano e possono assumere assetti diversi, ma solo una piccola parte di queste nuove configurazioni sopravvivrà sotto la spinta di una forza che gli studiosi hanno chiamato “selezione per funzione”.
Se poi molte diverse configurazioni del sistema subiscono la selezione per una o più funzioni, il sistema evolverà.
Prendiamo ad esempio un sistema semplice.
Un sistema di atomi e molecole.
Solo una piccolissima parte di tutti i trilioni di combinazioni possibile sarà di una qualche utilità funzionale, bene sopravvivrà quella più utile.
E cosa si intende per funzione?
Mentre Darwin affermava che la funzione di un sistema biologico era principalmente quella di sopravvivere abbastanza a lungo per riprodursi, in questa nuova concezione la funzione si estende e si declina in modi diversi.
Ad esempio una funzione è la “stabilità”.
Come lo sono i cristalli minerali, ossia disposizioni ordinate di atomi o molecole, che durano nel tempo. Oppure un’altra funzione può essere la “dinamicità”, come lo è un sistema dinamico alimentato da energia.
Una terza funzione può essere invece l’introduzione di una “novità”, che sia nuova caratteristica od un nuovo comportamento, e l’evoluzione della vita sulla Terra è piena di esempi di questa funzione, ad esempio la vita pluricellulare che si è evoluta quando le cellule hanno imparato a collaborare, oppure la fotosintesi clorofilliana avvenuta allorché una cellula ha acquisito la capacità di sfruttare la luce per produrre energia.
Ma non è finita qui perché l’evoluzione di sistemi viventi e non viventi può intrecciarsi in modi incredibili, basti pensare come da minerali primordiali particolarmente stabili si sono evoluti altri minerali che in seguito sono stati sfruttati dalle forme di vita nel loro processo evolutivo, formando conchiglie, ossa, denti.
In questo contesto viene affermato che la teoria darwiniana sia solo un caso molto speciale, di una qualche importanza certamente, ma risulterebbe collocato all’interno di un fenomeno naturale molto, molto più ampio.
L’idea che la selezione per funzione guidi l’evoluzione ovviamente può essere applicato a scenari del tutto diversi come alle stelle, agli atomi, ai minerali e a molte altre situazioni concettualmente equivalenti.
Secondo me quindi tutte queste teorie non si escludono a vicenda, nell’evoluzione dell’universo e delle specie, c’è un po’ di darwinismo, un po’ delle teorie di Lamarcke ed un poco della visione del Disegno Intelligente.
E di sicuro l’evoluzione funzionale e l’evoluzione per salti ne sono parte fondamentale.
Arriviamo in maniera specifica ora alla teoria evoluzionistica umana.
Qui appare evidente chiaramente che le cose siano assai diverse da quella che vuole essere la visione scientifica ufficiale.
Troppe sono le incongruenze, le lacune, le manipolazioni, le imprecisioni e gli evidenti buchi. Anche da un punto di vista logico e razionale.
La teoria classica prevede che vi sia stata circa centocinquanta, duecento, duecentocinquantamila anni fa la definizione del genere che avrebbe assunto i connotati dell’Homosapiens.
Quest’ultimo verrebbe collocato geograficamente in Africa nella zona che va dall’Etiopia alla Tanzania.
Sempre secondo tale visione circa 75.000 anni fa si diffuse nel resto del mondo.
Inoltre circa 30.000 anni fa si impose su qualsiasi altra specie di Homo di allora rimanendo l’unica presente sul pianeta.
Questa ricostruzione stride però con numerosissimi reperti rinvenuti in gran parte del mondo che vedono una presenza simultanea su tutte le terre emerse, dall’Europa all’Asia, alle Americhe e persino in Australia e nelle isole del Pacifico ben prima dei 75.000 anni previsti dalla teoria ufficiale.
Senza stare a ripercorrere tutte le incongruenze rinvenute consiglio di ascoltare e vedere la registrazione pubblicata sul canale di “Border Nights”, presente su numerose piattaforme, con ospite il ricercatore Tony Maniscalco che spiega in maniera esaustiva come le cose nella preistoria dell’uomo si siano svolte ben diversamente da quelle narrate dalla paleoantropologia ufficiale.
Quello che sembra emergere sempre più è che vi siano stati alcuni cambiamenti repentini nel comportamento umano assai singolari.
Questi poi sono stati accompagnati da tutta una serie di mutazioni allo stesso modo strane sia nella flora che nella fauna che circonda le abitudini e le necessità umane.
Mi riferisco in particolar modo all’agricoltura ed all’allevamento animale che secondo me non si spiegano per nulla con la narrazione ufficiale che sia stato semplicemente l’uomo ad adattare alle sue esigenze quelle numerose specie.
Non solo perché questo comporterebbe un tempo di selezione assai maggiore dell’arco di tempo in cui esso si è sviluppato, ma sopratutto anche perché le mutazioni via via succedutesi presentato tratti caratteristici, morfologici e genetici che mal si assoggettano ad una semplice selezione naturale quale l’uomo preistorico sarebbe stato in grado di realizzare. Sembrerebbero più operazioni effettuate in ambito di editing genetico finalizzate a rendere tali specie animali e vegetali idonee alle esigenze umane in maniera decisamente artificiale.
Che si vada dalla comparsa improvvisa di specie come il frumento, il mais, la patata o l’orzo od il pomodoro ad animali come la pecora, la mucca, il cane od il gatto.
A questo proposito bisognerebbe aprire un più dettagliato dibattito di come tutte queste specie non solo siano comparse in maniera quasi improvvisa ma sopratutto che la loro comparsa sia stata accompagnata da tutta una serie di tratti e caratteristiche esattamente definite e precisamente confacenti alle necessità dell’uomo.
Una tale selezione (effettuata tramite lo sfruttamento iniziale di modifiche casuali) avrebbero di sicuro richiesto tempi considerevolmente più lunghi di quelli narrati e le stesse modalità di conduzione della selezione sarebbero state molto difficoltose stanti gli strumenti utilizzati propri delle epoche alle quali si fa riferimento.
Senza tenere conto del fatto che alcuni siti genici di alcune specie prese in esame presentano similitudini troppo evidenti con altre specie anche del tutto differenti per poter ritenere che tali ricombinazioni siano del tutto casuali.
Assomigliano molto di più ai risultati ottenuti oggi in ambito di editing genetico per la produzione dei famosi OGM (Organismi Geneticamente Modificati).
Oltretutto lo stesso Homosapiensapien sembrerebbe a sua volta stato oggetto di manipolazione.
E forse più di una, con l’ultima probabilmente avvenuta subito dopo l’ultima era glaciale di circa 12.000 anni fa.
Anche perché l’emersione di alcuni tratti tipici e caratteristici dell’attuale essere umano risultano del tutto nuovi e con connotati che trovano nella corrente concezione della speciazione per selezione naturale ben poche giustificazioni.
Lo sono tratti fisici come i capelli, una quasi totale assenza di peluria, un rivestimento epidermico delicato e poco protettivo, l’assenza sostanziale di caratteristiche fisiche atte ad offendere seriamente, come unghie o denti e così via.
Allo stesso modo la comparsa di connotati psichici e capacità cognitive particolari risulterebbero quantomeno fuori luogo o ben strani, come ad esempio la capacità di mentire.
E di sicuro senza il nostro ecosistema di animali e piante selezionate appositamente per noi non saremmo certo sopravvissuti.
Quindi evoluzione?
Per noi forse più manipolazione.