Sabato, 22 Luglio, 2023

Sincronicità e coincidenze.

Esperimento.jpg

Oggi in riferimento ad una sincronicità, o meglio ad una coincidenza, grazie ad un commento fattomi con lo scopo di dare un senso a quanto accadutomi ho ripercorso in un attimo il cammino interiore durato in verità qualche decennio.
Un tempo avevo una visione direi forse meccanicistica, o quantomeno molto legata ad una visione “neuroscentifica” dell’universo mentale.
Il concetto in merito alla sincronicità era più legato ad aspetti contingenti di modalità del funzionamento degli organi percettivi ed elaborativi del sistema nervoso.
Per cui, siccome l’essere umano ha dovuto adattarsi ad un ambiente potenzialmente pericoloso, oltretutto non essendo nemmeno dotato di caratteri fisici che lo potessero proteggere adeguatamente (non aveva grosse zanne, unghie affilate, potenza muscolare, aveva una pelle fragile e sottile, non correva veloce, non si arrampicava velocemente, …) sviluppò alcune funzioni mentali che lo portarono ad avvantaggiarsi di alcuni contesti.
Come ad esempio la capacità di cogliere aspetti simili di circostanze diverse.
Quindi ora si ritiene che tale facoltà si sia affinata ulteriormente con il tempo permettendoci di fare collegamenti mentali prima impensabili.
E questo permette che colleghiamo quanto osserviamo nel mondo e ci faccia cogliere in maniera utile le “coincidenze”.
Ancora quindi, a seconda del nostro vissuto, saremmo più propensi a collegare alcuni fatti piuttosto che collegarne altri.
Per cui può capitare che siccome un giorno abbaiamo con un amico parlato di un incidente sul lavoro, la nostra coscienza sarà più propensa a cogliere nel mondo esterno ogni riferimento che in quella giornata si verificherà su questo argomento, inducendoci a cogliere eventi che altrimenti sarebbero passati del tutto inosservati.
Oppure ancora per fare un altro esempio, se capitasse mi fratturassi un dito sarei più propenso a vedere nel mondo ogni riferimento a dita spezzate, cosa che non avrei mai notato prima.
Quindi la coincidenza non sarebbe altro che l’attività esercitata dal mio cervello atta a collegare fatti secondi certi criteri.
Farti che sarebbero stati presenti comunque, anche senza questo tipo di elaborazione.
E la sincronicità non sarebbe stato altro che appunto questa peculiare caratteristica di fare associazioni.Queste considerazioni presuppongono una realtà oggettiva.
Inoltre presuppongono un motore che organizza l’ordine dell’universo in modo esterno a noi.
Come un gigantesco orologio universale che batte i secondi e noi ci lasciamo rapire solo da alcuni di essi.
Come dicevo negli ultimi vent’anni in verità ho maturato lentamente un convincimento diverso.
Siamo sicuri che l’orologio, questo motore di realtà oggettive esterno a noi sia davvero esterno?
Senza ripercorrere l’intero cammino che mi ha portato a dubitare di tale visione, ripercorrerò solo alcuni tratti essenziali.
Nell’ultima parte del 1800 era in corso un acceso dibattito in ambito della fisica per dare definizioni precise e concrete della realtà.
Come potevamo definire le cose che ci circondavano? O meglio, per calarsi nella visione di quel periodo, cosa poteva definirsi materia?
Ed ancora, cosa poteva definirsi energia?
Beh, si era arrivata ad una serie di risultati definiti che avendo come base la matematica e le leggi dell’elettromagnetismo, avevano permesso di delineare dei profili precisi.
In particolare nel dominio atomico si poteva contare sul fatto che alcune particelle fossero sicuramente materia (neutroni, protoni, …), cioè avessero natura corpuscolare, ed altre rientrassero nel dominio dell’energia, come ad esempio i fotoni, la cui forma energetica era costituita da una natura oscillatoria ed ondulatoria e non certo da una corpuscolare.
Quindi mentre le particelle di materia come i protoni si muovevano secondo traiettorie diritte nello spazio, le altre come i fotoni oscillavano su e giù per dirigersi sino ad una meta stabilita.

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Quindi per riassumere il movimento ondulatorio era tipico dell’energia, quello lineare era tipico della materia.
Si cominciarono quindi a fare degli esperimenti.
Da principio si prese una sorgente che emettesse particelle come gli elettroni, che si supponeva avessero natura corpuscolare.
A metà cammino si inseriva una lastra metallica con una sottile feritoia per far passare pochissimi elettroni se non addirittura singoli elettroni.
Oltre questa si poneva una lastra fotografica per fare in modo che gli elettroni colpendola imprimessero la pellicola per poi vedere cosa era contenuto in quella fotografia.
Si vide allora che gli elettroni che passavano la feritoia andavano tutti a colpire la lastra fotografica proprio come fossero stati proiettili, proiettili che viaggiavano in linea retta dalla fonte, attraversavano la feritoia e riproducevano sulla pellicola fotografica la stessa linea presente nella lastra posizionata a metà strada.
Era un po’ come se si fosse dei cecchini e si cercasse di far passare i proiettili attraverso la feritoia per poi colpire la lastra fotografica. Ovviamente sarebbero andati ad incidere la pellicola solo quelli sparati che attraversavano la feritoia in linea retta, tutti gli altri sarebbero rimbalzati sulla lastra di metallo.
Nelle osservazioni sperimentali si vide che accadeva proprio cosi.
Il disegno che si formava sulla pellicola era una linea verticale in corrispondenza della feritoia.
Quindi fu decretato che sicuramente gli elettroni avevano natura corpuscolare perché si comportavano come proiettili.
E invece come si poteva mostrare la natura ondulatoria dei fotoni?
Si pensò allora che siccome i fotoni avendo appunto una natura ondulatoria che li faceva oscillare su e giù, si avrebbero potuto realizzare due feritoie invece di una e poi andare a vedere il disegno che si formava sulla pellicola.
Infatti a seconda di come i fotoni si sarebbero incontrati al momento in cui avrebbero impattato sulla lastra fotografica avrebbero dovuto formare bande più chiare intercalate da bande più scure.
Questo perché se due fotoni si incontravano quando erano tutti sulla cresta di un’onda le loro energie si sarebbero sommate, mentre se si fossero incontrati uno con la cresta in alto e l’altro con quella in basso le energie si sarebbero annullate. Alla fine l’oscillazione creava proprio bande più chiare vicino a bande più scure.
Esattamente a quanto accade nelle onde di uno stagno se vengono lanciate insieme due pietre in due punti diversi dello stagno. L’impatto delle pietre genererà due serie di onde concentriche che si scontreranno. Nei punti in cui saranno sincronizzate l’onda aumenterà, mentre in quei punti in cui le onde saranno opposte l’onda risultante sarà nulla.
Tali disegni sulle pellicola prendevano il nome di bande di interferenza.
Poi qualcuno ebbe la bella idea di vedere cosa sarebbe successo se invece dei fotoni nell’esperimento della doppia fenditura si fossero usati gli elettroni.
Beh, il risultato avrebbe dovuto essere scontato.
Gli elettroni invece di creare delle bande di interferenze ovviamente avrebbero dovuto imprimere sulla pellicola due belle bande verticali e parallele esattamente allo stesso modo in cui erano state realizzate le due feritoie sulla lastra posta lungo il percorso.
La cosa che lasciò perplessi gli sperimentatori fu che invece in tale esperimento gli elettroni si comportavano esattamente allo stesso modo degli elettroni. Cosa che entrava chiaramente in conflitto con la concezione che si aveva della materia e dell’energia.
Siccome sperimentalmente non ne venivano a capo si fecero una moltitudine incredibile di altri esperimenti.
Per capire meglio il fenomeno si decise allora di vedere che accadeva in ogni punto possibile della traiettoria seguita dagli elettroni.
E qui ebbe luogo un fatto che sconvolse veramente gli sperimentatori.
Infatti ogniqualvolta si cercava di studiare gli elettroni in un punto qualsiasi della traiettoria, come per magia gli elettroni invece di comportarsi come si verificava in assenza di intervento improvvisamente diventavano tutti dei bravi proiettili che andavano ad incidere la lastra fotografica con due belle feritoie parallele!!!
Era come se capissero che siccome li si voleva studiare si sarebbero comportati come ci si sarebbe aspettato.
E questo succedeva ogni volta, ma proprio ogni volta.
Se non li si studiava si comportavano come energia, ma se si osava solo vedere cosa facessero allora avevano un comportamento da materia.
Alla fine si decise di affermare che le particelle hanno una doppia natura.
Cioè possono godere di una natura ondulatoria, ma questa può essere fatta collassare in una natura corpuscolare.
Il famoso collassamento della funzione d’onda, in cui una particella collassa ad un determinato stato.
Queste osservazioni ebbero conseguenze per i decenni a venire sino ai nostri giorni.
Infatti questo dimostrò almeno inizialmente che lo sperimentatore è in grado di influenzare l’esperimento.
Cioè, se decide appunto di fare delle verifiche questo implica un diretto cambiamento dell’esperimento stesso.
La cosa messa in questi termini potrebbe avere delle implicazioni immense.
Difatti può dirsi che, anche da questi fatti, si svilupparono concezioni e movimenti di pensiero a cavallo tra fisica e filosofia.
L’intenzione è in grado di modificare la realtà.
E si badi bene non un’azione, ma semplicemente un’intenzione.
In verità vi è da dire che gran parte del mondo accademico si schierò sin da subito verso questa interpretazione.
Venne infatti spiegato che probabilmente lo sperimentatore attua un qualche tipo di procedura, anche utilizzando i propri strumenti d’indagine, per cui il risultato viene alterato e la funzione d’onda collassa.
Ma non ho mai letto di nessuna spiegazione plausibile del come fattivamente questo accada.
E a questo proposito vorrei fare un paio di osservazioni.
La prima riguarda la natura intrinseca di ciò che viene preso in esame.
Causare un cambiamento così sostanziale come avviene attraverso il far collassare la funzione d’onda non mi appare concettualmente una cosa così semplice come invece accade.
La seconda ha a che fare con i numerosissimi esperimenti che si sono succeduti sino ad oggi nel tentativo di dare spiegazione al fenomeno.
Ebbene, non mi dilungherò ad entrare nel dettaglio lasciandolo alla libera ricerca di chi legge, utilizzando in maniera opportuna tutta una serie di specchi che avevano lo scopo di riflettere e rifrangere il raggio di elettroni al fine di procrastinare il momento in cui lo sperimentatore decide o meno di entrare nell’esperimento che conduce, si è appurato che è proprio la “decisione” dello sperimentatore a far cambiare l’esito dell’esperimento.
Quello che è accaduto, anche in questo caso cosa sorprendente, è che facendo in modo che la decisione fosse presa già ad esperimento concluso, il risultato dell’esperimento differiva a seconda della decisione presa dallo sperimentatore quando già l’esperimento stesso si poteva definire concluso.
Cioè se lo scienziato decideva di intervenire allora si aveva un esito, altrimenti un altro e questo dopo che l’esperimento era finito.
Non è incredibile?
Fantascienza?
Eppure è tutto vero.
Questo fatto incredibile ha generato poi tutta una serie di teorie su una particella ipotetica e che forse appunto nemmeno esiste per spiegare il fenomeno, la particella tachionica associata al flusso temporale.

Tornando quindi all’origine del mio ragionare, sincronicità e coincidenze, forse a questo punto la spiegazione più plausibile che mi sono formato nel corso degli anni è stata quella che la nostra volontà concorra attivamente alla formazione della realtà, da ciò seguirebbe a cascata, la creazione di tutti quei fenomeni che chiamiamo coincidenze e che invece sarebbero solo dei sincronismi della nostra mente.
Gli esperimenti che sopra ho esposto sono solo una piccola parte della galassia di informazioni che ho appreso e che hanno fatto in modo di portarmi a tali conclusioni.
Al momento attuale del mio percorso personale di ricerca, mi sembra senza dubbio la razionalizzazione più plausibile.

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